IL TRIBUNALE
   Letti gli atti del proc. n. 2082/95, sciogliendo la riserva;
   Premesso:
     che parte ricorrente  ha  chiesto  nei  confronti  dell'INAIL  il
 riconoscimento  dell'eziogenesi  professionale  della silicosi da cui
 risulta affetta sin dal 1974, con conseguente condanna  dell'istituto
 alla costituzione di rendita per inabilita' permanente, a norma degli
 artt. 66, n.  2 e 74, d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124;
     che  l'ente  convenuto ha eccepito l'intervenuta prescrizione del
 diritto azionato, per decorso del termine di cui all'art. 112, d.P.R.
 30 giugno 1965, n. 1124;
   Rilevato:
     che l'art. 112 cit.,  nella  costante  interpretazione  fornitane
 dalla  giurisprudenza, appare contrastante, per i motivi che verranno
 esposti, con gli arrt. 1, 3, 4, 35 e 38 della  Costituzione,  laddove
 prevede   l'estinzione   in  radice  del  diritto  alla  rendita  per
 inabilita' permanente, anziche' quello ai singolo ratei;
   Letti e applicati gli artt.  134  Cost.,  295  c.p.c.  23,  secondo
 comma, legge 11 marzo 1953, n. 87; solleva di ufficio la questione di
 legittimita' costituzionale della norma citata per i seguenti motivi;
   1. - Rilevanza della questione ai fini della decisione del merito.
   Dal  tenore  del  ricorso e dall'esame della documentazione in atti
 emerge che ricorrente inoltro' la prima richiesta di costituzione  di
 rendita  in  data  5  settembre 1974; richiesta respinta per asserita
 insussistenza della tecnopatia lamentata. Il  Puddu  inoltro'  quindi
 ulteriore richiesta 10 anni dopo, in data 25 febbraio 1994.
   La  domanda  venne  rigettata  in  sede amministrativa per asserita
 insufficienza della documentazione medica posta arredo della  stessa.
 Avverso  detto  diniego  il  Puddu  propose in data 12 settembre 1985
 opposizione a norma dell'art. 104 d.P.R. 1124/1965; detta opposizione
 venne  respinta,  per  carenza  di  documentazione sanitaria allegata
 all'opposizione, con provvedimento del 17  marzo  1986.  In  data  27
 dicembre 1995 il Puddu propose ricorso nanti questo giudice.
   Appare  dunque evidente che, non essendo stati posti in essere atti
 interruttivi  della  prescrizione   nel   periodo   successivo   alla
 presentazione  (quantomeno)  dell'atto  di  opposizione,  l'art. 112,
 d.P.R. 1124/1965, come  attualmente  interpretato,  comporterebbe  il
 rigetto  della  domanda  del  ricorrente  per  decorso del termine di
 prescrizione del diritto alla rendita.
   E cio' nonostante la documentazione in atti, e  in  particolare  il
 certificato  medico  a  firma  dott. Egidio Pinna, attestasse sin dal
 1974 una  silicosi  in  II  stadio,  con  riduzione  della  capacita'
 lavorativa  stimata  intorno  al  30%; patologia, che, data la natura
 ingravescente, e' andata verosimilmente aumentando  in  gravita'  nel
 corso degli anni e minando in maniera ancora piu' severa la capacita'
 lavorativa del ricorrente.
   2. - Non manifesta infondatezza della questione.
   La  Corte  costituzionale  ha  avuto  modo in numerose occasioni di
 esaminare la legittimita' costituzionale della norma in questione,  e
 ha sempre ritenuto l'infondatezza delle censure sollevate dai giudici
 remittenti. La decisione cardine in subiecta materia e' rappresentata
 dalla  sentenza  n.  33/1974, in cui la compatibilita' costituzionale
 dell'art. 112 d.P.R. 1124/1965 e' stata  ritenuta  sulla  base  delle
 seguenti considerazioni:
     i  diritti  soggettivi  aventi  rilevanza  costituzionale  (quali
 quelli previsti dall'art. 38 Cost.)  possono  essere  assoggettati  a
 termini   decadenziali   o   prescrizionali,   purche'  non  tali  da
 pregiudicare concretamente il conseguimento del beneficio richiesto;
     l'art. 38 della Costituzione "attiene all'adeguamento  dei  mezzi
 di  carattere  previdenziale  alle esigenze di vita dell'infortunato,
 piuttosto che alle modalita' necessarie a  conseguirli,  a  meno  che
 esse siano tali da comprometterne il conseguimento";
     la  brevita' del termine di prescrizione (complessivamente 3 anni
 e 150 giorni) "assolve, nel contempo, a  due  esigenze  facenti  capo
 all'INAIL   e   all'assicurato:   quella  di  mettere  l'istituto  in
 condizioni   di   dar   corso   alla   procedura   di    accertamento
 dell'indennizzabilita'  della malattia professionale, poco tempo dopo
 che questa si  sia  in  fatto  manifestata,  e  quell'altra,  propria
 dell'assicurato, di conseguire con prontezza le prestazioni".
   Le  successive  pronunce  in materia si riportano sostanzialmente a
 tali enunciati  (ad  es.,  sentt.  nn.  33/1977;  544/1990;  31/1991;
 312/1993).
   La  Corte  ha  peraltro  precisato, in successive decisioni: che il
 decorso del  termine  prescrizionale  debba  essere  inteso  non  dal
 momento  della  manifestazione  della  malattia,  ma da quando questa
 raggiunga il grado minimo di indennizzabilita' (sent. n.  116/1969):;
 che  la  prescrizione  viene  interrotta  dal  deposito  del  ricorso
 introduttivo del giudizio  (sent.  n.  129/1986);  che,  in  caso  di
 necessita'   di  esame  autoptico  al  fine  dell'accertamento  della
 tecnopatia, il termine de quo decorre dal momento in cui detto  esame
 diviene possibile (sent.  n. 544/1990).
   Ritiene  tuttavia  il giudice a quo che l'incostituzionalita' della
 norma in esame debba piuttosto essere ravvisata nei seguenti motivi:
     A) violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.).
   L'art.    11  d.P.R.  1124/1965  appare  violare  il  principio  di
 eguaglianza  laddove  prevede che la prescrizione estingua il diritto
 alla rendita per malattia professionale,  e  non  quello  ai  singoli
 ratei,  rispetto  alla  previsione di cui al combinato disposto degli
 artt. 47, secondo e terzo comma d.P.R. 30 aprile 1970, n.  639,  come
 modificato  dall'art.   4 d.-l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito
 in legge 14 novembre 1992, n. 384 e 6, comma 1, d.-l. 29 marzo  1991,
 n. 103, convertito in legge 1 giugno 1991, n. 166. Dette disposizioni
 stabiliscono, difatti, l'operativita' della prescrizione soltanto sui
 ratei,  e non sul diritto in radice, qualora la prestazione richiesta
 abbia carattere pensionistico.
   Si determina, pertanto, una disparita' di trattamento tra (soggetti
 aventi diritto alla) rendita per inabilita' lavorativa e  prestazione
 pensionistica;  disparita' di trattamento che non appare giustificata
 ne'  dalla  natura  del  beneficio,  posto  che,  come  osservato  da
 autorevole  dottrina,  la  distinzione  concettuale  tra  pensione  e
 rendita  non  ha  mai  costituito  nel  magistero  della  Corte   una
 scriminante  di  tutela  costituzionale,  ne'  dalle  finalita' dello
 stesso, dal momento che la rendita, al pari della pensione,  mira  ad
 assicurare  al lavoratore mezzi adeguati alle sue esigenze di vita in
 presenza di eventi  (tecnopatia  od  infortunio  nell'un  caso,  eta'
 avanzata o condizioni di salute nell'altro) che la carta fondamentale
 (art. 38, comma 2) riconosce come generatori di uno stato di bisogno,
 senza operare alcuna distinzione tra essi.
   La  stessa  Corte  costituzionale  ha  piu' volte ribadito, d'altro
 canto,  l'imprescrittibilita'  del  diritto  al  conseguimento  della
 pensione  (ad  es.  sent.  20  maggio  1992,  n.  246). Appare dunque
 evidente, stanti le identiche finalita'  attribuite  dal  legislatore
 costituente  alle  provvidenze per gli eventi enumerati nell'art. 38,
 secondo comma.  Cost., come lo stabilire che i benefici stabiliti per
 taluni di essi siano soggetti a prescrizione ed altri no,  nonostante
 pensione  e  rendita siano concesse in relazione ad eventi produttivi
 di conseguenze  tendenzialmente  permanenti,  appaia  costituire  una
 disparita'  di  trattamento priva di giustificazione, anche alla luce
 delle considerazioni che seguiranno.
     B) violazione del principio della ragionevolezza (art. 3 Cost.).
   L'art.  112  d.P.R.  1124/1965  appare  violare  il  principio   di
 ragionevolezza  laddove  prevede  che  la  prescrizione  estingua  il
 diritto alla prestazione  previdenziale,  e  non  quello  ai  singoli
 ratei,  in  quanto  finisce  per assumere come inesistente, una volta
 spirato il termine di prescrizione, l'evento  produttivo  di  bisogno
 (nel caso di specie: la malattia professionale) in relazione al quale
 la provvidenza era stata prevista.
   Osserva  il  giudice che, se e' vero che i diritti aventi rilevanza
 costituzionale possono essere assoggettati a termini  decadenziali  o
 prescrizionali,  come  condivisibilmente  statuito dalla Corte adita,
 risulta parimenti vero che detti istituti estintivi, in ragione della
 particolare  e  delicata  natura  dei  diritti  sui  quali  vanno  ad
 incidere,  debbano  risultare  posti  ad  usbergo di interessi aventi
 rilevanza e dignita' quantomeno non inferiori a quelli  in  tal  modo
 sacrificati.
   La   Corte   adita,   nell'ormai   lontano   1974,   ravvisava   la
 giustificazione della prescrizione in esame in "due esigenze  facenti
 capo  all'INAIL  e  all'assicurato:  quella  di mettere l'istituto in
 condizioni   di   dar   corso   alla   procedura   di    accertamento
 dell'indennizzabilita'  della malattia professionale, poco tempo dopo
 che questa si  sia  in  fatto  manifestata,  e  quell'altra,  propria
 dell'assicurato,  di  conseguire con prontezza le prestazioni" (cosi'
 la sent. 33/1974 cit.).
   Il  mutato  quadro  normativo  (anche  alla  luce  dei   successivi
 interventi  della  Corte  medesima)  giustificherebbe,  ad avviso del
 giudice remittente, un mutamento di orientamento.
   Va osservato che il principio su  cui  originariamente  si  fondava
 l'impianto  del  d.P.R.  1124/1965  era rappresentato dalla tassativa
 enumerazione delle patologie ritenute di  derivazione  lavorativa,  e
 dalla  non  meno  tassativa  elencazione  delle  attivita' lavorative
 oggetto di tutela.
   Detto impianto poteva giustificare, almeno secondo la  ratio  legis
 dell'epoca,  la  brevita'  del termine, posto a pena di estinzione in
 radice del diritto, per conseguire in sede giudiziaria la prestazione
 negata in via amministrativa.
   Da un lato, difatti, venivano eliminate le (potenzialmente) gravose
 indagini sul nesso  eziologico  tra  patologia  insorta  e  attivita'
 lavorativa  espletata,  sostituite  da  un veloce (ma intrinsecamente
 limitato) sistema di presunzioni juris et de jure. Dall'altro vi  era
 la   necessita'  di  un  accurato  accertamento  della  natura  della
 patologia  lamentata,  che  doveva  essere  quanto   piu'   sollecito
 possibile  per evitare che l'evoluzione della malattia, con eventuali
 complicazioni per insorgenza di patologie di  altra  natura,  potesse
 compromettere  l'attendibilita'  dell'accertamento stesso. Occorreva,
 insomma, stabilire con certezza se si fosse in presenza o meno di una
 malattia "tabellata".
   Vi era, poi, anche un'esigenza di tutela  del  lavoratore,  che  in
 virtu'  degli  automatismi  descritti  avrebbe  dovuto beneficiare di
 tempi  estremamente  brevi  per  il   conseguimento   del   beneficio
 richiesto.
   Sennonche'  detto  impianto fu scardinato nella sua rigidita' dalla
 sentenza 18 febbraio 1988, n. 179, con cui la  Consulta,  mutando  il
 suo  orientamento precedente, dichiaro' incostituzionali le norme del
 d.P.R. 1124/1965 che assoggettavano a rendita soltanto  le  patologie
 "tabellate",  con  cio'  ammettendo  l'indennizzabilita' di patologie
 diverse, nel caso si fornisse prova della loro eziogenesi lavorativa.
   Appare evidente come l'introduzione del principio in base al  quale
 qualunque  patologia  (non  tabellata) viene ritenuta indennizzabile,
 purche'  se  ne  dimostri  il  nesso   eziologico   con   l'attivita'
 lavorativa,  fa  venir  meno, per le ragioni viste, la ragionevolezza
 del meccanismo  di  preclusioni  e  decadenze  radicali  fondante  il
 sistema attualmente vigente.
   Una  volta accertato (in concreto o mediante presunzioni legali) il
 nesso causale  lavoro  -  evento  invalidante,  appare  irragionevole
 privare  del  tutto della rendita il lavoratore vittima di tecnopatia
 sulla  sola  base  della  tardivita'  dell'azione,  posto  che   essa
 troverebbe   adeguata   stigmatizzazione   (che  dovrebbe  fugare  le
 preoccupazioni di azioni capziosamente tardive) sia nel piu'  gravoso
 onere   probatorio  del  nesso  di  causalita'  (ove  richiesto)  tra
 attivita' lavorativa e patologia insorta (onere che e'  irragionevole
 presumere  assolutamente  inottemperabile),  sia  nella  prescrizione
 triennale  dei  singoli  ratei  (che  dovrebbe  parimenti  fugare  le
 preoccupazioni di rilevanti esborsi per le casse pubbliche).
   La  prescrizione  triennale  dei ratei, insomma, appare, a sommesso
 avviso del giudice remittente, la soluzione  che  concilia  nel  modo
 piu'   equo  le  contrapposte  esigenze  sopra  richiamate,  evitando
 l'ulteriore irragionevolezza del  risultato  prospettato  all'esordio
 del presente capo: il ritenere, in sostanza, miracolosamente guarito,
 e  libero  dal  peso dell'evento invalidante, il lavoratore che per i
 motivi piu' vari non ha esperito l'azione  nel  breve  (in  relazione
 alla  durata  media  di  un  processo  civile)  termine fissato dalla
 disposizione in esame.
     C) violazione del principio della tutela del lavoro (artt. 1, 4 e
 35 Cost.).
   Il lavoro riceve dalla Costituzione una tutela  affatto  peculiare,
 tanto  da  essere  posto a fondamento della Repubblica italiana, come
 dispone, con formula che non puo' essere qualificata  come  meramente
 retorica,  l'art.  1  della carta. Si tratta di un principio che deve
 fungere da fondamentale chiave di lettura  nell'esegesi  delle  norme
 dell'ordinamento,  nel  senso  di privilegiare, ogni volta che appare
 possibile, la soluzione piu' conforme alle  esigenze  di  tutela  del
 lavoro  rispetto  a quella che se ne allontana (e non risulta posta a
 protezione di interessi ritenuti prevalenti).
   Laddove non sia  possibile  un'interpretazione  adeguatrice,  e  la
 norma  appaia  in  contrasto con le esigenze di tutela enunciate, non
 puo' non prospettarsene la compatibilita' con i  menzionati  principi
 della Carta fondamentale dello Stato.
   Nel  caso di specie l'incostituzionalita' dell'art. 112 cit. appare
 discendere dalla deteriore tutela  che  lo  stesso  prevede  per  gli
 eventi  invalidanti  (infortunio  e,  nella  fattispecie, tecnopatia)
 derivanti da attivita' lavorativa, rispetto  ad  altri  derivanti  da
 cause  diverse.    In  altre  parole,  per  effetto  della  norma  in
 questione,  viene  tutelato  in  misura  sensibilmente  inferiore  il
 cittadino  vittima  di  una menomazione dell'integrita' psicofisica a
 causa di un'attivita' (il lavoro, per l'appunto) posta in essere  per
 concorrere  "al  progresso  materiale o spirituale della societa'", e
 che costituisce  attuazione  di  un  dovere  costituzionale  (art.  4
 Cost.),  rispetto  a  quanto  previsto per altri eventi generatori di
 bisogno (invalidita' non lavorativa, vecchiaia)  non  dipendenti  dal
 lavoro.
   Questi   ultimi,   difatti,   sono  attualmente  fonte  di  diritti
 imprescrittibili, e la tardivita'  dell'azione  per  conseguirli  non
 incide  sul  diritto  in  radice,  ma  solo  sui  ratei  maturati. Al
 contrario le tecnopatie, lungi dal  ricevere  una  tutela  quantomeno
 analoga,  risultano,  come  visto,  penalizzate  da  un breve termine
 prescrizionale,  sanzionato  con  l'estinzione  del   diritto.   Tale
 differenza, lungi dall'essere conforme ai principi teste' richiamati,
 si colloca al contrario all'antitesi degli stessi, risolvendosi in un
 premio .... all'ozio |
     D)  violazione  del  diritto  del lavoratore ad adeguati mezzi di
 sussistenza in caso di malattia (art. 38 Cost.).
   L'art. 112 d.P.R. 1124/1965 appare lesivo  del  disposto  dell'art.
 38,  secondo  comma,  Cost.,  in  quanto  comporta  la privazione del
 lavoratore vittima di tecnopatia, il quale  abbia  esperito  l'azione
 oltre  il  triennio, di un beneficio necessario alle proprie esigenze
 di  vita,  pur  in  presenza  di  un evento invalidante espressamente
 previsto dalla norma costituzionale.
   L' art. 112, difatti, presuppone una distinzione di importanza  tra
 eventi   generatori   di  bisogno  che,  a  parte  le  considerazioni
 pregresse, non corrisponde ad una scelta effettuata  dal  legislatore
 costituente,  ed appare anzi in contrasto con una precisa indicazione
 desumibile dall'art. 38, secondo comma, Cost., che non distingue  tra
 malattia  di  derivazione lavorativa e malattia extralavorativa (e si
 e' gia' detto che, se si dovesse  scegliere,  occorrerebbe  procedere
 nella direzione opposta, privilegiando la prima: v. lett. C).
   La  Corte  ha  precisato  (sent.  33/1974)  che  "l'art.  38  della
 Costituzione  attiene  all'adeguamento   dei   mezzi   di   carattere
 previdenziale  alle  esigenze di vita dell'infortunato, piuttosto che
 alle modalita' necessarie a conseguirli, a meno che esse  siano  tali
 da  comprometterne  il conseguimento."  Nel caso in esame si verifica
 precisamente l'evento paventato dalla Corte  stessa:  un  diritto  di
 rilevanza   costituzionale   viene   immolato   sull'altare   di   un
 efficientismo che, se poteva  essere  auspicato  nei  primi  anni  di
 vigenza  del  d.P.R. 1124/1965, ha nei lustri trascorsi ormai svelato
 la sua natura di imago sine re  non  rappresentando  una  sostanziale
 tutela  ne' per il lavoratore ne' per lo stesso INAIL, il contenzioso
 nei confronti del quale permane ad un livello estremamente elevato.
   Poiche' la stessa  Corte  ha  enunciato  l'imprescrittibilita'  del
 diritto  ai  trattamenti  pensionistici  (sent.  n.  246/1992  cit.),
 poiche' gli stessi possono essere concessi  anche  per  malattie  (si
 pensi  alla  pensione  di  inabilita':  art.  12  legge n. 113/1971),
 poiche' la norma costituzionale parla solo di malattia, senza operare
 distinzioni sotto il profilo dell'eziogenesi, ne deriva che anche  il
 diritto   alla   rendita   per  malattia  professionale  deve  essere
 considerato  imprescrittibile,  salva  la  prescrizione   dei   ratei
 maturati e non riscossi nel triennio.